Non bisogna intendere il concetto di musica colta come portatrice di cultura, di conseguenza contrapposta ad una fantomatica musica ignorante, ma come musica che viene fuori da un percorso formativo accademico che, tra l’altro, tiene conto, in modo direi scientifico, anche delle tradizioni musicali popolari. A mio parere, piuttosto che definirla cosí, sarebbe piú appropriato utilizzare il concetto di musica di tradizione accademica. Sia chiaro che questa non si contrappone alla musica di tradizione popolare: sono due poli che esercitano la loro attrazione, creando un campo magnetico intermedio dove si manifesta la musica nella realtà. Ad esempio, Piazzolla e tutto il tango Nuevo, o Gershwin, si fa fatica a dire se siano colti o popolari. Ancor piú il jazz, nato come musica antiaccademica per eccellenza, già nei primi decenni del novecento si aprí ad uno scambio reciproco col mondo accademico, per poi radicalizzare la propria ricerca in linea con quanto avveniva nell’ambito “colto”, fino alla deriva accademica e conformista degli ultimi decenni, mascherata spesso da stereotipate reminescenze popolari.
D’altronde, anche nella composizione la tradizione popolare può essere avvantaggiata rispetto alla tradizione accademica, in particolare nella creazione melodica, soggetta piú a componenti innate quali la sensibilità e l’immaginazione che al rigore della formazione che, con le sue sovrastrutture, può finire per essere una gabbia per la fantasia creatrice. Sempre esemplare l’aneddoto di Mozart che recatosi a Praga per il debutto del Don Giovanni, rimase sorpreso dai musicisti ambulanti che riproducevano coi loro organetti le melodie de Le nozze di Figaro, in particolare “Non piú andrai”, tanto che il genio salisburghese decise di inserirla, con effetti autoironici, nel Don Giovanni.