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Parli di Beckett e subito gli viene associato il teatro dell’assurdo. Eppure, a differenza di Ionesco che mirava a far deflagrare la società borghese attraverso la messa in scena amplificata e deformata della sua demenzialità (l’assurdo come riproposizione postmoderna dell’epater les bourgeois dei pionieri dell’avanguardia), in Beckett non vi è nulla che non sia sintesi ed estratto della realtà. Non c’è nulla di assurdo in Vladimiro che rinuncia al suicidio perchè non farebbe più notizia buttarsi dalla Tour Eiffel: è la reductio ad absurdum della società dello spettacolo. Così come Krapp che cerca disperatamente di recuperare lo spreco di una vita desolatamente vuota, tentando di interagire con un nastro che aveva registrato con la sua voce trent’anni prima. O Winnie di Giorni felici, metafora della società del benessere condannata all’ottimismo e all’horror vacui, fino a quando non sarà completamente sommersa dal deserto e dall’oblio. O i genitori abbandonati nei bidoni…
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