CANCELLIERI E INQUISITORI #carcere #malagiustizia #dimissioni

cancellieriUn errore l’ha fatto la ministro Cancellieri nella gestione del caso di Giulia Ligresti, ma di sicuro non è stato di essersi adoperata per risolvere la situazione critica di una detenuta.  Lo sbaglio, di pura ingenuità politica, è stato di aver smascherato una di quelle ipocrisie su cui si regge la credibilità di ogni politico: l’ipocrisia dell’imparzialità di fronte ai cittadini. L’imparzialità umana è una chimera, ma il politico deve rappresentarsi come imparziale. Il tono colloquiale delle sue telefonate, in situazioni in cui il personale si è confuso con l’istituzionale, ha dato adito giustificatamente a sospetti circa un’attenzione al caso specifico rafforzata da un suo coinvolgimento personale. Un tale errore di valutazione (o meglio, di sottovalutazione) porterebbe alle dimissioni in società di tradizione anglosassone, germanica o scandinava, ma alle nostre latitudini raramente ci si è mossi dalla poltrona per cose ben più gravi.

La questione sta tutta qui. Non ci sono risultanze di pressioni; al momento della segnalazione, a quanto pare, le procedure per la concessione dei domiciliari erano già state avviate, favorite dalla richiesta di patteggiamento dell’imputata, poi condannata a 2 anni e otto mesi. Di più: come confermato dalle autorevoli testimonianze di Ilaria Cucchi e della madre di Federico Aldrovandi, la Ministro aveva dimostrato sensibilità per altri e più drammatici casi giudiziari. Casi ben diversi da quello di Giulia Ligresti, non solo per gli esiti tragici: da una parte gli eccessi nelle modalità d’arresto da parte delle forze dell’ordine e la negligenza del personale sanitario; dall’altra, una detenuta in attesa di giudizio, per la quale lo stato di salute avrebbe consigliato gli arresti domiciliari. Piuttosto che una crociata contro la Cancellieri, ci sarebbe da farne una contro gli abusi della carcerazione preventiva in Italia, da sempre una delle cause determinanti il cronico sovraffollamento delle patrie galere.

Ciò che sconcerta è l’atteggiamento dell’opinione pubblica, pronta a tirare per i capelli la memoria di poveri cristi che hanno dovuto sopportare un martirio ingiusto e ingiustificabile, con scarsa attinenza al caso specifico, pur di dimostrare la parzialità della Ministro. Il problema della carcerazione preventiva, come quello degli eccessi delle forze dell’ordine, è stato indegnamente travolto dal fervore inquisitorio della crociata anti-casta. Ho letto personalmente invettive deliranti contro Ilaria Cucchi e la signora Aldrovandi sui social network, di commento ai post che riportavano la loro presa di posizione a favore dell’operato della Cancellieri. Quando poi si è saputo del rapporto di lavoro tra il figlio della Ministro e il clan Ligresti, con tanto di liquidazione milionaria, apriti cielo: le forche mediatiche si sono moltiplicate alla velocità della luce. A pagare dazio, come al solito, è stata la chiarezza e la serenità necessarie per crearsi un’opinione obiettiva su una questione delicata come quella sollevata dal caso in questione. E buona parte dell’opinione pubblica si è riconfermata degna della peggiore politica di cui si lamenta; peggior politica di cui la Cancellieri non è sicuramente espressione.

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nessuna pretesa di verità, ma aprire qualche finestra
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3 risposte a CANCELLIERI E INQUISITORI #carcere #malagiustizia #dimissioni

  1. Antonio J. Manca Graziadei ha detto:

    Gentile Massazza,

    Lei perde di vista l’obiettivo e non coglie il punto.
    La sacralità delle istituzioni non ammette compromessi e richiede comportamenti specchiati e adamantini, per conferire e mantenere la credibilità della funzione.
    La giustizia, sopratutto, non deve soltanto e tanto essere, quanto apparire imparziale.
    È una dea bendata.
    La telefonata, semplicemente, non andava fatta. Punto.
    Averla fatta ha ulteriormente delegittimato l’istituzione e la funzione.
    Tanto basta per pretendere le dimissioni: per ristabilire la credibilità e la sacralità della funzione.
    Altrimenti si delegittima ulteriormente l’istituzione, in quanto si ammette e si tollera l’apparenza della parzialità.
    È tutto molto semplice, sia a Nord che a Sud del mondo.
    Cordiali saluti progressisti,
    Antonio, militante PD, Circolo Giustizia, Roma

    • albertomassazza ha detto:

      Caro Antonio, mi pare che siamo d’accordo su quasi tutto. Ho focalizzato bene il punto che lei sottolinea: l’inopportunità di una telefonata, per giunta con tale coinvolgimento, in una situazione in cui personale e istituzionale si sono confusi. Inopportunità che richiederebbe le dimissioni, se l’Italia fosse una democrazia avanzata. Detto questo, sto ben attento a cavalcare una situazione in cui non ci trovo nessuno scandalo, ma solo una buccia di banana. Anche perché la cavalcata non si capisce bene chi l’abbia organizzata.

      • Antonio J. Manca Graziadei ha detto:

        Gentile Massazza,
        Son contento che sia d’accordo con me, quasi su tutto.
        Su di un punto essenziale siamo tuttavia in totale disaccordo: l’Italia sarà una democrazia quando inizieremo tutti a fare le cose giuste perché sono giuste, a prescindere da chi cavalca cosa.
        Se dimettersi ristabilisce la credibilità di una istituzione lesa da un comportamento non compatibile con la prpria funzione, ci si dimette; se non si deve fare una telefonata, non la si fà.
        È molto semplice, basta essere coerenti con le regole di comportamento e con sé stessi: se uno è condannato i via definitiva ( ma forse anche solo in primo grado) si dimette da ogni carica pubblica.
        Sono proprio le dietrologie, le altre motivazioni e ragioni, il pensiero laterale, che ci impediscono di diventare una democrazia.

        Saluti Progressisti,

        Antonio

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