Non sono mai stato un estimatore del Presidente Napolitano. A mio avviso, il suo primo settennato e i pochi mesi del secondo mandato non sono stati all’altezza dei due Presidenti che l’hanno preceduto, Scalfaro e Ciampi. Napolitano, finché è stato in carica il governo Berlusconi 2008-2011, si è preoccupato principalmente di non farsi coinvolgere nella polemica politica, opponendosi in maniera blanda, se non accondiscendente, ai continui raid di Berlusconi contro le Istituzioni e la Costituzione; dalla nascita del governo Monti ad oggi, viceversa, il suo mandato è stato caratterizzato da un eccesso di interventismo e decisionismo, non sempre giustificato dalle contingenze della crisi economica internazionale e di quella istituzionale, peculiarmente italiana.
Fa eccezione la recente nomina di Rubbia, Cattaneo, Abbado e Piano a Senatori a vita, a prescindere dalla polemica sulla necessità di un tale istituto e sull’opportunità di tante nomine in un momento come questo: questi sono argomenti buoni per una speculazione demagogica, alla quale non sono per niente interessato. La carica di Senatore a vita è prevista dalla Costituzione, com’è previsto che il Presidente della Repubblica ne possa nominare fino a un massimo di cinque. Le rimostranze sull’opportunità economica lasciano il tempo che trovano, dato che i vitalizi hanno un peso infinitesimale sul bilancio dello Stato. Per altro, i Senatori a vita deceduti negli ultimi due anni (tre di nomina, più l’ex Presidente Scalfaro) hanno reso formalmente ineccepibile, per quanto improvvisa, l’operazione di Napolitano. Nella fattispecie, quando i nominati hanno una simile caratura internazionale e una vita vissuta in completa simbiosi con la propria ricerca scientifica o artistica, si può star certi che “l’investimento” fatto frutterà con gli interessi, sia per ragioni di prestigio internazionale, sia per la certezza che i nuovi Senatori a vita saranno in grado di portare contributi innovativi e di promuovere progetti di pubblica utilità, essendo la ricerca la loro preponderante ragione di vita.
Ma io voglio soffermarmi sulla valenza squisitamente politica delle nomine. In molti, giustamente, hanno sottolineato il valore numerico dei nuovi Senatori, quattro voti che potrebbero assumere un’importanza fondamentale a Palazzo Madama, nel caso che Berlusconi decida di far saltare il tavolo. Ma limitare a questo l’impatto politico dell’improvvisa operazione di Napolitano non è corretto. Tra l’altro, non si può pensare che il Capo dello Stato abbia deciso di scomodare quattro eminenze della cultura con l’intento esclusivo di garantire equilibri futuri, correndo il rischio di esporli al tritacarne mediatico di Berlusconi.
Come si sa, il Presidente della Repubblica ha la possibilità di nominare fino a un massimo di 5 Senatori a vita nel corso del proprio mandato. Ora, averne nominato quattro in un colpo è un chiaro messaggio a Berlusconi non solo per la questione numerica, ma anche e soprattutto perché in questo modo Napolitano ha messo le mani avanti, dimostrandosi pronto alle dimissioni nel caso Berlusconi tentasse un colpo di mano per andare ad elezioni subito. Infatti, le sue dimissioni obbligherebbero il Parlamento all’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, con conseguente slittamento dello scioglimento delle Camere. Tra l’altro, la convergenza sull’ipotetico nuovo inquilino del Quirinale potrebbe favorire la nascita di altre convergenze per questioni programmatiche emergenziali.
L’ultima carta politica in mano a Berlusconi, una vittoria elettorale chiara a stretto giro, è stata neutralizzata dall’azione del Presidente della Repubblica. Al leader del Pdl rimangono due opzioni: accettare le conseguenze della condanna in Cassazione e favorire una riorganizzazione del Pdl in chiave non personalistica o inasprire il consueto atteggiamento eversivo, ormai denudato di ogni possibile abito politico. I quattro Senatori hanno tutta l’aria di essere i cerimonieri del funerale politico di Berlusconi ed è una nemesi perfetta che a celebrarlo siano state chiamate personalità di una tale statura culturale.