L’atto di fondazione dell’estetica come disciplina filosofica autonoma fu il trattato in latino Aesthetica, scritto nel 1750 da Baumgarten, il quale la definì come “scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore, sorella della Logica”. Scienza del bello, appunto, particolarmente del bello artistico che ha come oggetto l’osservazione del dato naturale. Ma la natura contiene in sè anche il brutto; e allora, come si può conciliare questo aspetto con la necessità dell’arte di realizzare il bello (e il vero) attraverso l’osservazione e la trasformazione del reale? Questo problema fu risolto in termini sbrigativi dai filosofi dell’antichità, sia classici che cristiani. Il brutto venne classificato come negazione del bello, come il male del bene o il cattivo del buono, per forza di cose subalterno a quello, incapace di autonomia. Di conseguenza, il brutto non poteva avere ragione d’essere nell’espressione artistica, se non come specchio deformato del bello o in divenire, in metamorfosi generante il comico e il tragico. Per questo motivo il brutto trovò maggiori spazi nell’arte poetica e letteraria in genere, mentre venne marginalizzato nelle arti plastiche, sempre in un’ottica funzionale alla rappresentazione del bello.
Ancora in pieno secolo dei lumi, Lessing rivendicò queste posizioni, ma il suo contemporaneo Kant con la teoria del sublime aprì una breccia verso un’analisi extrasensoriale del bello. Dal canto suo, Hegel si interrogò sulla novità estetica rappresentata dall’arte cristiana, giungendo alla conclusione che essa, con la sua iconografia di crocifissioni e martiri, avesse aperto la strada all’ingresso del brutto nell’arte, un brutto comunque veicolante il bello spirituale del messaggio cristiano. Fu il suo allievo Rosenkranz il primo a tentare di costruire una teoria strutturata attorno alla questione, col fortunato saggio del 1853 “Estetica del brutto”, pur senza arrivare a esiti sconvolgenti rispetto ai suoi illustri predecessori. Ma a quel punto, gli artisti, già emancipati rispetto al gusto imperante dal venir meno della committenza tradizionale, si sentirono legittimati da questa svolta teoretica ad osare sempre di più verso l’abbattimento e il rovesciamento dei canoni tradizionali di percezione artistica. Perciò, quando il gerarca nazista, dopo aver visto la Guernica, chiese a Picasso se fosse stato lui l’autore di quell’orrore, il maestro giustamente rispose “No, è stato lei”.
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