La Ginestra, estremo capolavoro e vero e proprio testamento etico ed estetico del grande recanatese, mi ha sempre dato la sensazione di essere stata composta a quattro mani. Chiarisco: non sto avanzando ipotesi circa un contributo di qualcun altro alla stesura del poema: chi altri, oltre al tenero Giacomo, avrebbe potuto avere tale capacità? No, penso piuttosto a un suo sdoppiamento, una scissione tra spirito e corpo in due entità indipendenti che hanno intrecciato le loro narrazioni in un’unica trama. Ed ecco che le esortazioni alla “social catena” e alla confederazione degli uomini contro la “matrigna” natura di uno spirito illuminato e illuminista, convivono con “un’onda di mar commosso, un fiato d’aura maligna, un sotterraneo crollo” di un corpo ormai sconfitto che, come nell’incompiuto “Inno ad Arimane”, che precede “La ginestra” di 3 anni, non può che invocare la propria fine e una generale Apocalisse catartica, capace di ripulire l’uomo dalle proprie ipocrisie, bassezze, vanaglorie. Per questo, credo che l’inno al Satana degli zoroastriani sia rimasto un abbozzo: la sua necessità aveva trovato nel progetto del poema vesuviano delle risposte più esaustive.
Nell’albero genealogico del maledettismo, Leopardi è un insospettabile ramo portante.
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Bellissima interpretazione: la messa a fuoco in chiave poetica della dicotomia sempre irrisolta tra l’individuo interiore e l’animale sociale.
grazie!
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